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MAMMA, HO MAL DI TESTA. LE EMOZIONI DEI NOSTRI BAMBINI

Caterina, otto anni, per un lungo periodo riferisce alla mamma di aver mal di testa.

In quello stesso periodo la bambina comincia a non andare più volentieri a scuola. Chiede spesso di poter rimanere a casa, richiesta che mamma e papà, pur vedendola affaticata, non riescono a soddisfare se non per poche volte, imbrigliati nei loro impegni di lavoro da cui non riescono a districarsi.

Caterina è molto seria nel comunicare ai genitori questo malessere, non sembra una “scusa” per non andare a scuola.

Comincia, così, anche su suggerimento della pediatra, una serie di controlli medici; a partire dalla visita oculistica e arrivando fino al controllo neurologico.

Dopo un lungo ed estenuante periodo, l’esito di tutti gli esami svolti risulta negativo!

I genitori di Caterina decidono allora di contattarmi per avviare con me un percorso di consulenza educativa, con l’intento di capire di più questa situazione, da cui sembra non riescano a venirne a capo. Se il mal di testa non ha niente a che vedere con particolari patologie a livello fisico – di cosa si tratta? – si chiedono mamma e papà.

Il percorso di consulenza offre ai genitori di Caterina l’opportunità di comprendere che molto spesso i disagi dei bambini si traducono in malesseri fisici (mal di pancia, mal di testa, vertigini, tachicardia…).

Per tanto tempo, fino a nove/dieci anni circa, il canale preferenziale dei bambini per esprimere pensieri, emozioni, sentimenti rimane quello corporeo, pertanto, espressioni come “mamma ho mal di testa” potrebbero tradursi in “mamma ho paura di non essere all’altezza di quanto mi si chiede a scuola” oppure “mamma, sono arrabbiata perché la nonna si è ammalata  gravemente” o ancora “mamma, è troppa la tristezza che provo nel pensare che Sofia, la mia amica del cuore, si è trasferita in un’altra città”.

In effetti, erano proprio queste alcune delle situazioni che Caterina si era trovata a vivere negli ultimi mesi. La nonna, a cui Caterina era molto legata, si era ammalata in modo grave improvvisamente. A scuola le maestre facevano pressione perché Caterina si impegnasse di più, non comprendendo appieno la natura flemmatica che contrassegna da sempre la bambina e, in aggiunta a tutto questo, la sua amica del cuore si era trasferita con la famiglia in un’altra città!

Quante volte dietro a tanti “disturbi” fisici dei nostri bambini ci sta un’emozione non compresa, un bisogno non soddisfatto, un pensiero non dichiarato che, se non riconosciuti ed accolti, generano in loro un’ansia esasperante.

Ancora una volta la Dottoressa ci illumina con le sue profonde “intuizioni”!

“Le reazioni infantili – timidezza, bugie, capricci, pianti senza causa apparente, insonnie, timori eccessivi – rappresentano un inconscio stato di difesa del bambino stesso, la cui intelligenza non riesce a determinare la causa effettiva, nelle sue relazioni con l’adulto”.

(Maria Montessori) 

 

Fino a quando un bambino non sarà in grado di comunicare con le parole il proprio vissuto, lo farà sicuramente attraverso comportamenti che potremmo ritenere “sconvenienti”, si esprimerà con il pianto, con il malessere fisico perché non comprende ciò che gli accade e, perciò, non può spiegarlo con il linguaggio verbale.

“Un’otite dietro l’altra, eczemi, allergie, rifiuto di mangiare, enuresi, in seguito difficoltà scolastiche, aggressività…sono (…) richieste di aiuto. Il bambino è pronto a sacrificare la sua crescita, la sua salute fisica e psichica per essere finalmente ascoltato”.

(I. Filliozat) 

 

Ci vogliono tanta pazienza, fiducia e la consapevolezza che il bambino è psichicamente diverso da noi:

“La mente infantile è diversa dalla nostra, che non possiamo raggiungerla con l’insegnamento verbale”.

(Maria Montessori)

Tutta l’opera montessoriana, ci ricorda Raniero Regni in Maria Montessori e le Neuroscienze, è tesa a

“mostrare la verità del bambino come essere molto diverso dall’adulto”.

Il bambino è un essere diverso da noi, ha pensieri ed emozioni diverse da noi. 

Una diversità che si presta a una grande incomprensione.

La Dottoressa non si stanca di ricordarcelo:

”ciò che avviene ai fanciulli di tutto il mondo, i migliori e i più amati. Essi non sono compresi perché l’adulto li giudica alla propria stregua”. 

Un’incomprensione che rischia di ostacolare la crescita dei nostri bambini.

Il bambino è una persona che esprime le sue emozioni in modo differente da noi adulti, con una intensità di fronte alla quale ci sentiamo il più delle volte spiazzati, inadeguati tanto da indurci a banalizzare o ironizzare invece che ascoltare:

“La coscienza di sé si forma man mano che si susseguono le esperienze, e nella misura in cui le emozioni sono capite, approvate ed espresse. Al contrario, quando l’ambiente (genitori, insegnanti…) si rifiuta di capire, ridicolizza le emozioni, il bambino si convince che ciò che sente, pensa e fa non è conforme a ciò che gli altri si aspettano da lui”.

(I. Filliozat) 

Maria Montessori parla di deviazioni del carattere che

“si sviluppa in rapporto agli ostacoli incontrati o alla libertà che ne ha favorito lo sviluppo”.

 

Quando siamo poco sensibili di fronte alle emozioni dei nostri figli non facciamo altro che lasciarli nella disperazione. I neuroscienziati sostengono che l’indifferenza e l’abbandono nei confronti di ciò che provano i bambini – “Vai a piangere in camera tua, mi hai stancato!” – hanno il potere di ferire, se non danneggiare, il loro cervello che, invece, è programmato per avere legami positivi con gli altri.

A lungo andare la percezione del mondo risulterà alterata e ciò impedirà loro di diventare adulti sensibili nei confronti dei loro stessi figli.

“Aiutare i bambini a capire ciò che sentono non li aiuta solo a calmarsi, ma anche a sviluppare grandi capacità empatiche. La ricerca dimostra infatti che le attitudini empatiche sono innanzitutto fondate su una conoscenza di sé e delle proprie emozioni: essere capaci di identificare ciò che si sente permette di capire più facilmente ciò che sentono gli altri”.

(C. Alvarez) 

Abbiamo bisogno di re-imparare la “grammatica” delle emozioni per non lasciarci smarrire da quelle dei nostri figli.

COME?

Ve lo spiego con la metafora dei “calli” utilizzata dal noto psicologo Harold Bessell.

Ci sono determinati lavori manuali che, se svolti con una certa regolarità, è facile che provochino lo spuntare di callosità. Queste hanno la funzione di proteggere le mani, evitando che si coprano di piaghe e vesciche. Bene, allo stesso modo, quando durante la nostra vita, in modo particolare la nostra infanzia, veniamo feriti nelle nostre emozioni, si forma qualcosa che assomiglia a un callo, ciò che H. Bessell chiama “callo affettivo”. Questo “callo” emotivo ha lo scopo di proteggerci da ciò che ci ha ferito, ma nello stesso tempo altera la nostra reale percezione del mondo. Quando diventiamo genitori questo ci impedisce di essere, sensibili, empatici nei confronti delle emozioni che provano i nostri figli.

Cosa possiamo fare perché questo non accada?

“L’adulto deve essere consapevole dei suoi «calli psichici», in modo da potersi mettere al posto del bambino e percepire i suoi sentimenti senza filtrarli o interpretarli”.

(I. Filliozat)

Non dimentichiamo che il significato che attribuiamo alle esperienze della nostra infanzia impatta prepotentemente sul nostro modo di essere genitori. Solo una conoscenza più profonda di noi stessi e della nostra storia può aiutarci a entrare in risonanza con tutte le emozioni espresse dai nostri figli, per accoglierle senza rigidità e pregiudizi e aiutare i nostri bambini a sviluppare il loro potenziale emotivo.

 

Se desideri approfondire quanto hai appena letto o richiedere una consulenza pedagogica scrivi a info@danielascandurra.com

 

 

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