“L’adulto deve dare e fare quel tanto che è necessario affinchè il bambino possa utilmente agire da solo: se fa meno del necessario, il bambino non può agire utilmente, se l’adulto fa più del necessario, e perciò si impone o si sostituisce al bambino, spegne i suoi impulsi fattivi. Esiste dunque un intervento determinabile: c’è un limite perfetto da raggiungere, che si potrebbe chiamare «la soglia dell’intervento»”.
(MARIA MONTESSORI)
Spesso i genitori con cui ho il piacere di lavorare mi chiedono:
“Fin dove posso lasciare che il bambino si spinga senza il mio intervento? Qual è il limite da non oltrepassare perché mio figlio non diventi né un tiranno, né un robot?”.
La risposta la troviamo nelle sapienti parole di Maria Montessori che scrive:
“Occorre veramente mettersi sul sentiero dell’osservazione e delle scoperte al fine di penetrare la mente del bambino (…) Cosa non facile (…)”.
È necessario coltivare particolare sensibilità e attenzione che ci permettano, come adulti educatori, di riconoscere quando è opportuno fornire aiuto ai nostri bambini.
Siamo utili solo nel momento in cui nostro figlio non può fare da sé.
Questa è la soglia da non oltrepassare!
Quel limite della porta che segna il confine tra me adulto e il mondo interno del bambino e che dovremmo varcare solo dopo esserci chiesti: “Posso entrare o è meglio rimanere in attesa? Può essere di aiuto il mio intervento o rischia di trasformarsi in un ostacolo? Devo vietarglielo o è meglio che sperimenti da sé?”.
Certo ci vuole tempo!
L’aiuto inutile non fa altro che mortificare il bambino che sta consolidando nuove abilità, lo ostacola nella sua concentrazione, diventa una vera e propria aggressione nei confronti della sua indipendenza e degenera in quella che Maria Montessori definisce come lotta tra l’adulto e il bambino.
Un conflitto senza tregua che accompagna il piccolo dalla nascita e per tutto il suo sviluppo e che cela la grande paura dell’adulto nel favorire la forte spinta del bambino verso l’autonomia: dover limitare il proprio potere nei confronti di colui che riteniamo debole, doversi spostare dal centro alla periferia, perché sia veramente il bambino il protagonista della sua crescita.
Concludo con uno dei tanti racconti didattici di Milton Erickson, psichiatra e psicoterapeuta statunitense che, a parer mio, illustra con molta chiarezza l’arte di saper intervenire al momento giusto.
Un giorno, Milton Erickson, grande psicologo, tornando a casa da scuola, trovò un cavallo che era scappato ed era entrato nel campo di un contadino, alla ricerca di un po’ di acqua da bere.
Il contadino non l’aveva visto, così Erickson decise di occuparsene per riportarlo a casa.
Gli saltò in groppa e lasciò decidere all’animale in che direzione andare.
Di tanto in tanto il cavallo si allontanava dalla strada o si fermava a brucare l’erba in un prato. Solo in queste occasioni Erickson interveniva riportandolo delicatamente sulla strada. Dopo circa 6 chilometri il cavallo si infilò nel recinto di una fattoria e il proprietario disse a Milton: “Ma dove l’hai trovato?”
“A circa sei chilometri da qui”, rispose Erickson .
Il proprietario lo ringraziò per averglielo riportato e gli disse: “Come hai fatto a sapere che era mio e che viveva qui?”.
Erickson gli rispose: “Io non lo sapevo, lui sì. Mi è bastato metterlo sulla strada”.
Lasciamo che sia il bambino a “guidarci”, a farci comprendere quali siano le sue reali necessità, la meta giusta verso cui dirigerlo.
Coltiviamo quell’arte raffinata che ci aiuti a saper distinguere il momento giusto per intervenire e non disturbare o deviare il suo percorso di crescita.