Secondo recenti ricerche in campo neurobiologico il modo in cui noi genitori rispondiamo, più o meno adeguatamente, ai bisogni dei nostri bambini influisce in maniera decisiva sul loro sviluppo.
La modalità con cui ci relazioniamo con loro rappresenta un elemento così potente da contribuire significativamente a modellare il loro sviluppo cerebrale.
Dalla nostra capacità di accudirli, consolarli, proteggerli dai pericoli, così come dalla difficoltà a gestire le loro pressanti richieste e a reagire quindi con intolleranza, eccessiva preoccupazione o freddezza emotiva, i nostri figli svilupperanno legami di attaccamento che andranno a incidere sul loro sviluppo emotivo e sociale e sulle caratteristiche più pregnanti della loro personalità.
Le difficoltà nell’interagire con i figli, sostengono queste ricerche, sono associate agli eventi e alle circostanze della nostra infanzia, più precisamente, alla relazione che abbiamo sperimentato con i nostri genitori o con altre figure di riferimento importanti.
Ecco cosa succede:
se abbiamo vissuto esperienze difficili con adulti particolarmente ansiosi o distaccati emotivamente, queste vengono “assorbite” inconsapevolmente, durante l’infanzia, dalla nostra mente dove vi rimangono in una sorta di archivio e recuperate come “modelli” da utilizzare, nella relazione con i nostri figli, nel momento in cui diventiamo genitori. Se non ci siamo impegnati a comprendere, analizzare e integrare queste esperienze irrisolte nell’idea che abbiamo di noi stessi, ci troveremo in difficoltà a sintonizzarci emotivamente con i nostri figli, ci sentiremo inadeguati nel comprendere le loro emozioni.
Per esempio:
se i nostri genitori ci lasciavano piangere senza consolarci, ma ci invitavano con insistenza a “smetterla di piangere” è molto probabile che di fronte al pianto inconsolabile dei nostri figli, invece di essere rassicuranti e fonte di calma, potremmo sentirci impazienti e avere voglia di scappare. Se da bambini abbiamo vissuto frequentemente questo tipo di esperienza è possibile che, nel momento in cui diventiamo genitori, tutte quelle situazioni in cui i nostri figli si metteranno a piangere provocheranno dentro di noi una serie di risposte emotive intense e intollerabili. Ma anche, con molta probabilità, un senso di impotenza legata al fatto che non ci sentiamo capaci e competenti nel calmare e consolare i nostri bambini.
Certe situazioni come quella appena descritta possono farci stare molto male e gettarci nel panico perché ci fanno rivivere situazioni infantili lasciate nel “dimenticatoio”.
Come se, nel palcoscenico della nostra vita subentrassero altre persone che non c’entrano con le “scene” che viviamo con i nostri figli. Si tratta di personaggi della stessa commedia, ma appartenenti ad una scena precedente. Per evitare che le ombre del passato si intromettano nel nostro presente con i nostri figli dobbiamo riuscire a tenerli un po’ più sullo sfondo del palco.
Come?
Solo una comprensione più profonda della nostra storia d’infanzia ci permette di prendere le giuste distanze da tutti quegli elementi che possono interferire nella relazione con i nostri bambini e farci uscire dalla ripetizione automatica dei comportamenti.
Non si tratta di giudicare i nostri genitori o recriminare sui loro errori. Ciò che hanno fatto, l’hanno fatto con gli strumenti che avevano a disposizione.
Ma è necessario essere consapevoli che siamo, comunque, la madre e il padre che abbiamo avuto ed è da loro che abbiamo imparato, inconsapevolmente, a fare i genitori.
Tra noi adulti di oggi e i nostri figli si situa la nostra storia d’infanzia da cui non dobbiamo lasciarci condizionare e dalla quale prelevare tutto il buono e il bello dello stile genitoriale che abbiamo sperimentato, per entrare in risonanza emotiva con i reali bisogni dei nostri figli e costruire con loro relazioni efficaci e soddisfacenti.
Certo, spesso potrebbe risultare particolarmente doloroso confrontarci con le limitazioni, le frustrazioni e le insicurezze generate dal nostro passato. L’alternativa, però, è rimanerne prigionieri, soccombere alle convinzioni rigide e nocive che nutriamo sull’educazione e a quei crucci e quelle inquietudini che, se non osservate sotto il raggio di luce della consapevolezza, ci spingono a comportarci con i nostri figli in modo istintivo e incontrollato.
Cercando di comprendere noi stessi e il nostro passato offriamo ai nostri figli la possibilità di costruire un sano senso di sé ed esprimere le loro emozioni liberamente e senza timori.
“Il principio di limitare l’intervento dell’adulto, in modo da non bloccare lo sviluppo infantile e da non nuocere, è fondamentale nel nostro metodo educativo che promuove la necessità di sviluppare delicate attenzioni per ogni manifestazione del bambino. Dobbiamo acquisire un atteggiamento da osservatori prudenti e, in certo senso, umili. In pratica ciò significa nutrire un rispetto positivo verso le espressioni della crescita. Se non dessimo l’aiuto che esse richiedono, mancheremmo al nostro dovere educativo”. Maria Montessori
Perciò, se quando diventiamo genitori ci accorgiamo di avere ancora conti in sospeso con la nostra storia d’infanzia, dobbiamo impegnarci al massimo per chiuderli. Altrimenti, gran parte delle energie mentali ed emozionali dei nostri figli saranno sottratte a ciò per cui sono finalizzate e, cioè, a crescere, a imparare a vivere.
Una cosa è certa: da una generazione all’altra non si trasmette solo la vita, ma anche e soprattutto l’arte di vivere. E se in questa trasmissione si sono creati degli strappi dovuti alla nostra storia familiare i nostri figli, mettendo in crisi le modalità con cui affrontiamo la vita, ci offrono il più delle volte una grande occasione: riaggiustare il tiro.
Per aiutarti a comprendere meglio la tua esperienza infantile affinchè tu non ripeta modelli di interazione non compatibili con la relazione d’amore che hai sempre immaginato e desiderato per i tuoi figli ho scritto un libro.
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