Capita a molti genitori di dare il ciuccio al proprio bambino e a un certo punto chiedersi se si è fatta la scelta giusta. Proprio l’altro ieri, una mamma in consulenza, raccontandomi della sua fatica a togliere il ciuccio alla sua bambina, mi ha detto: “Glielo avevo fatto prendere solo come un’alternativa per calmarla e farla addormentare, ma poi, giorno dopo giorno, è diventata una continua richiesta, stile martello pneumatico. Non solo per addormentarsi, ma anche quando usciamo, quando rientra a casa dalla scuola dell’infanzia, quando la lascio dai nonni. Insomma, quella che inizialmente era un’eccezione è diventata la regola”.
È normale e succede davvero a molti genitori. E non solo per quanto riguarda il ciuccio. Spesso non si è pienamente consapevoli di quale sia la cosa giusta da fare e, soprattutto, quali possano essere le conseguenze di una scelta piuttosto che un’altra.
È così ci si ritrova, in alcuni momenti cruciali della crescita dei propri figli, ad arrancare tra ansia, sensi di colpa e attacchi di rabbia.
Non è mia intenzione demonizzare il ciuccio.
Né tantomeno giudicare i genitori che alle prese con i primi pianti inconsolabili dei loro bambini trovano nel ciuccio un espediente che permette loro di “tirare il fiato” e ai loro piccoli di tranquillizzarsi.
Voglio invece, a fronte della mole di disinformazione che circola su questo argomento, offrirti un punto di vista pedagogico e aiutarti a comprendere quando e quanto questo oggetto in alcuni frangenti può essere davvero di aiuto, mentre in altri si caratterizza come un vero e proprio impedimento.
Non c’è dubbio: il ciuccio non dovrebbe essere offerto al bambino, se prima non si è consolidato l’allattamento al seno.
Le ricerche ci confermano che sarebbe meglio aspettare almeno un mese dalla nascita, tenendo in considerazione che ogni bambino è differente, perciò, ha tempi personali che vanno rispettati.
La suzione è una delle attività principali di un neonato, che succhia non solo per nutrirsi, ma anche perché gli piace. Proprio per questo la natura ha disposto che ogni bisogno di suzione nutritiva e non fosse soddisfatto dal seno materno.
Succede però che se il bambino vuole succhiare, ma in alcuni momenti non ha bisogno di latte, si stacca dal seno e mette in bocca il dito o la manina.
Questo per chiarirti, cara mamma e caro papà che mi leggi, che la natura ha previsto altri “oggetti” per soddisfare il bisogno di suzione del bambino, che non hanno a che vedere con il ciuccio, invenzione e abitudine diffusissima della nostra società. Devi sapere che presso i popoli nativi, i bambini, che per qualche anno vivono a stretto contatto con il corpo della madre, crescono senza averne mai visto uno.
Il ciuccio non è una necessità per il bambino, non è un suo bisogno naturale. È piuttosto un’usanza della nostra cultura.
Anche per quanto riguarda la prevenzione della SIDS (morte improvvisa del lattante), non è il ciuccio in sé a svolgere una funzione protettiva, ma l’azione del ciucciare e la deglutizione.
Detto questo, è vero che in alcune particolari situazioni (un pianto inconsolabile, la fatica a prendere sonno, un momento di stanchezza), il ciuccio può rivelarsi una buona soluzione, purchè non rimanga “l’unica” alle richieste dei nostri figli e non venga utilizzato “esclusivamente come tranquillante, cioè perchè il bambino resti quieto”. S. H. Fraiberg
È interessante che in inglese il ciuccio venga chiamato “pacifer”, un calmante tutto- fare.
“Quando succede che un bimbo si dedichi disperatamente al ciuccio o al proprio pollice? È chiaro: quando è solo, quando sta per addormentarsi, o, se è più grandicello, quando è avvilito o quando per una ragione o per l’altra ha bisogno di consolazione. Il bambino, in altre parole, si abbandona alla suzione quando gli manca qualcosa ed è infelice. Ora, il qualcosa che gli manca di solito è un qualcuno, è una presenza umana”.
M. Bernardi
Cosa devi fare, allora, per non incorrere nel rischio di utilizzare il ciuccio come un “tappo” in bocca che blocca sul nascere qualsiasi pianto, prima ancora di sforzarti di comprendere ciò di cui tuo figlio ha bisogno? O come “protesi” (come lo definiva Lorenzo Braibanti) che limita fortemente il piacere di andare alla ricerca di altre fonti di gratificazione?
Come sosteneva Grazia Honegger Fresco, mia maestra e ultima allieva di Maria Montessori, chiudere la bocca ai nostri bambini con il ciuccio, blocca ogni loro possibile richiesta e deve rappresentare l’ultima risposta che può essergli di aiuto.
A parte situazioni di grande disagio, lei lo annoverava tra gli “aiuti inutili”.
Sai perché?
Provo a spiegartelo per punti:
- dopo i 4-6 mesi circa, un periodo della vita molto importante in cui comincia a portare gli oggetti alla bocca, il bambino potrebbe non essere favorito a usare questa abilità a causa della continua autoconsolazione fornita dal ciuccio. Questo vale anche per altre occupazioni, come quelle in cui esercita le sue mani, prendendo gli oggetti e lasciandoli cadere. Azioni semplici, fondamentali per lo sviluppo mentale che nella ripetizione permettono al bambino di sviluppare la concentrazione e fare scoperte importanti. È indubbio che un bambino senza ciuccio si interessi al gioco in modo più attivo e curioso. Ricorda, la continua autoconsolazione, indebolisce la curiosità, deprime la vivace intelligenza del bambino.
- Quando è sempre a disposizione, il ciuccio può diventare un vero ostacolo anche allo sviluppo del linguaggio, predisponendo il bambino a parlare in ritardo e a difetti di pronuncia. Il ciuccio sempre in bocca prolunga artificiosamente il bisogno di succhiare dei primi mesi e soprattutto, oltre i due anni, rischia di compromettere la corretta articolazione linguistica, impedendo un’attività importante sul piano dell’indipendenza. “C’è un tempo per succhiare e un tempo per pronunciare i primi suoni, le prime sillabe, le prime parole: un tappo sempre in movimento nella bocca non favorisce altre esplorazioni realizzate con lo stesso organo!”. G. H. Fresco
- La prolungata suzione non permette al palato di “allargarsi” adeguatamente, per lasciare spazio sufficiente ai denti. I logopedisti continuano a ricordarcelo; nei primi anni di vita il palato è molto “plastico” tanto che, a dispetto della genetica, la sua forma può modificarsi a seconda dell’intensità con cui il bambino attiva i muscoli per succhiare, respirare, masticare, parlare.
- Quando il bambino ha il ciuccio in bocca diventa “bravo” e il genitore smette in automatico di osservare e andare alla ricerca delle motivazioni che hanno spinto il piccolo a protestare. Come ho già scritto in un precedente articolo https://danielascandurra.com/mamma-papa-che-rabbia/ i bambini più sono piccoli più fanno fatica a gestire i loro comportamenti da soli. È necessario saper osservare con attenzione per cercare di cogliere quegli elementi che preannunciano una crisi emotiva e aiutare i nostri figli a regolare i loro impulsi, provando a pensare se esiste un altro modo, oltre l’offerta del ciuccio, per affrontare i loro malesseri.
- Rendere abituale l’uso del ciuccio di fronte ad ogni piccolo fastidio dei nostri bambini rischia di compromettere la loro capacità di “lasciarlo andare”, quando sarà necessario. A quel punto, infatti, non li avremo aiutati a individuare altre strategie di autoconsolazione. Se non il ricorrere al ciuccio.
Non è il ciuccio in sé ad essere sbagliato, a fare male. È il suo uso costante ed esagerato che deve essere messo in discussione. Un bambino che succhia sempre è un bambino che non si impegna mai a fondo in qualcosa, soprattutto nelle relazioni. È un bambino che spesso e volentieri non è indipendente nel mangiare, nello scegliere i giochi, nel pronunciare parole e frasi, nell’entrare in relazione con gli altri.
Maria Montessori ci mette in guardia.
Non basta amare i nostri bambini. All’amore dobbiamo unire il discernimento, la saggezza, la conoscenza dei loro bisogni. “Se il nostro amore è malaccorto, ci posizioneremo in campo nemico, ma se invece saremo saggi, osserveremo il suo sviluppo con discernimento, conquisteremo la sua fiducia e condivideremo appieno la gioia della sua infanzia felice”.
Ecco che l’autosservazione può rappresentare un aiuto potente per imparare a leggere le sfumature del linguaggio non verbale dei nostri figli. “Perché gli metto il ciuccio in bocca? Non tollero il suo pianto?”, “Riesco a comprendere il suo bisogno?”, “Cosa mi sta comunicando con questo malessere?”, “In quali circostanze lo richiede maggiormente?”, “C’è altro che posso fare per lui?” – leggere un libro insieme, suggerire un gioco tranquillo, cantare, proporre un massaggio rilassante, un’uscita al parco…
Come ho scritto nel mio libro Montessori è solo una moda se non diventi un genitore consapevole https://danielascandurra.com/libro-montessori-solo-moda-se-non-diventi-genitore-consapevole/, in un capitolo dedicato interamente all’osservazione, “bisogna apprendere un nuovo modo di connetterci a noi stessi e ai nostri bambini, che ci porti ad assumere l’atteggiamento più corretto nei confronti delle loro manifestazioni. Essere genitori consapevoli significa riuscire a guardare il mondo non solo dalla nostra prospettiva, ma anche da quella dei nostri figli, metterci nei loro panni e osservare il mondo con i loro occhi”.
Crescere un figlio non è un processo semplice. Lo è meno se non si è consapevoli. E un genitore poco consapevole tende a sottovalutare le conseguenze che gesti apparentemente semplici e innocui, come lasciare che il bambino tenga sempre in bocca il ciuccio, possono avere sulla sua salute globale.
“La sensibilità che l’adulto deve acquistare, è quella di riconoscere tutti i bisogni del bambino; solo così egli potrà dargli quell’aiuto che gli è necessario”.
M. Montessori
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