“Basta con questo piagnucolio, vieni che ti faccio piangere per qualcosa!”
“Ma sai quante volte ti ho chiamato? Sei sordo?”
“Riordina immediatamente la tua stanza. Sbrigati!”
“Guarda tua sorella come si sa vestire da sola…ed è più piccola di te!”
“Non ti arrampicare! Guarda che se cadi e ti fai male ti do pure il resto!”
Cara mamma, caro papà che mi leggi, se ti rivolgi abitualmente in questo modo ai tuoi figli, probabilmente, non sei consapevole di quanto, questa modalità di comunicazione, non solo non li incoraggia a prestarti ascolto, ma rischia anche di danneggiarli.
Voglio subito precisare che si tratta di un’esperienza comune a tanti genitori.
Perciò, non sentirti in colpa se ti riconosci in questi esempi. Nelle espressioni, come quelle che ho riportato all’inizio di questo articolo, ci sono parole che ciascuno di noi ha assorbito durante la propria infanzia e di cui, con molta probabilità, non ci si ricorda il significato e, soprattutto, il peso che possono avere sull’autostima di ogni bambino. Eh si, perché spesso sono frasi pronunciate con tono predicatorio e mortificante – prive di qualsiasi valore pedagogico – che, se ripetute nel tempo, abituano i bambini ad accettare senza remore il giudizio e la disapprovazione.
Siamo esseri di memoria.
Ciò che diciamo ripetutamente ai nostri figli si “incollerà” in maniera indelebile nella loro mente e nella loro anima. Oggi diversi studi confermano che ciò che ereditiamo dai nostri genitori va al di là delle caratteristiche fisiche che si vedono ad occhio nudo. Una situazione, una parola, un modo di dire di oggi ci rimanda, inevitabilmente, a una memoria registrata in anni lontani e in ambienti “familiari”.
Lo sappiamo molto bene che è così.
Se ripeschiamo tra i nostri ricordi d’infanzia ritroviamo quelle stesse parole che pronunciamo ai nostri figli, rivolte a noi, dagli adulti con cui siamo cresciuti. E scopriamo, il più delle volte, che non ci hanno fatto stare bene, né ci hanno fatto diventare più “bravi”. Ad ogni modo, quello che ci siamo sentiti ripetere più spesso da bambini ha contribuito in modo significativo a costruire la nostra identità.
Recenti studi sul funzionamento del cervello, confermando quanto scopriva Maria Montessori più di cento anni fa, sostengono che siamo quello che i nostri neuroni hanno registrato più frequentemente.
Le esperienze, scrive la Dottoressa, “si incarnano in lui. Il bambino crea la propria «carne mentale», usando le cose che sono nel suo ambiente”.
Per molti anni, mentre i nostri figli vivono la loro vita, la loro mente “annota” le informazioni che ascoltano di più, senza avere la capacità di filtrarle. Il loro cervello registra le esperienze emotivamente più forti e le lascia nel più profondo del loro essere. Verranno usate, successivamente, come modelli con cui orientarsi nel mondo.
Sappi, pertanto, che attraverso il tuo linguaggio non pronunci solo parole, ma comunichi emozioni, aspettative, bisogni.
Ci hai mai pensato?
Quando, ripetutamente, in preda alla rabbia, rimproveri il tuo bambino dicendogli “Basta con questi capricci, oggi sei proprio insopportabile!”, devi sapere che difficilmente comprenderà il motivo di tanta collera e, soprattutto, che ciò che gli stai dicendo è riferito solo a quel momento in cui ti sta facendo perdere le staffe. A causa della sua immaturità cerebrale, tenderà a generalizzare le tue parole. Le “subirà” passivamente e le percepirà come verità assoluta, associandole a se stesso. Nel tempo, sarà portato a sentirsi una persona “insopportabile” che merita la rabbia degli altri e diventerà sempre di più dipendente dal giudizio altrui. “Il cammino non è difficile, ma facile e chiaro: abbiamo di fronte delle creature come i bambini, incapaci di difendersi e di comprenderci e che accettano tutto quanto loro si dice. Non solo accettano le offese, ma persino si sentono colpevoli di tutto ciò di cui li accusiamo”. Maria Montessori
COSA FARE?
Ecco 3 suggerimenti che possono aiutarti a migliorare la comunicazione e farti ascoltare dai tuoi figli.
- Evita di esprimere giudizi negativi. Dì no al comportamento dei tuoi figli, ma non alla loro persona. Invece di dire “Sei proprio cattivo!” puoi dire con tono fermo, ma non rabbioso “Non mi piace quello che hai detto”, “Non mi piace quello che hai fatto”. Il giudizio è mortificante e offensivo per il bambino e soprattutto non lascia margini alla speranza di poter superare quel momento di difficoltà, di cambiare e migliorare. Ricorda che i tuoi atteggiamenti, le parole che usi, il modo in cui gestisci le difficoltà e le emozioni che esprimi e fai vivere ai tuoi figli, creano le convinzioni con cui interpreteranno il mondo e che influenzeranno ogni aspetto della loro vita.
- Nei momenti difficili, mantieni la calma e parla con pacatezza. In questo modo sarà più semplice per i tuoi figli sforzarsi di ascoltarti e insegnerai loro come si gestiscono le situazioni critiche. Urlare, invece, rischia di metterli sulle difensive, costringe il loro cervello a irrigidirsi e scatena reazioni incontrollate. Un pò alla volta, mina la loro autostima e li rende particolarmente aggressivi. Diversamente, se la nostra voce è mite e paziente, i nostri figli proveranno la sensazione di essere “visti” e compresi e ciò trasformerà la loro tempesta emotiva in calma. Il cervello abbasserà la guardia e si attiverà la zona cerebrale più riflessiva, quella che li mette nella condizione di prestarci ascolto. Certo, si tratta di una modalità comunicativa che richiede un notevole autocontrollo da parte dell’adulto e tanta tanta pazienza! “E’ proprio una vera educazione che occorre per vincere questo stato: bisogna padroneggiare e superare se stessi”. Maria Montessori
- Conta le tue parole. Perché qualsiasi esperienza possa trasformarsi, per i tuoi figli, in opportunità di crescita è necessario che tu parli con consapevolezza e intenzionalità. Sappi che non sono le prediche o gli “spiegoni” a convincere i tuoi figli ad ascoltarti. Tutt’altro! Se ne difenderanno strenuamente “non ascoltando, proprio come chi, vivendo presso il mare o una linea ferroviaria, alla lunga non ne percepisce più i rumori”. Grazia Honegger Fresco Quando i nostri bambini non ci ascoltano, domandiamoci se questo non abbia a che fare con il nostro stile comunicativo! Purtroppo, se c’è una cosa in cui siamo poco esperti, come genitori, è tacere! Spesso, infatti, quando chiediamo qualcosa ai nostri figli, li sovrastiamo con le nostre parole, abbondiamo nelle spiegazioni, ignorando quanto tutto questo si traduce per loro in un sovraccarico di informazioni tale, da indurli a smettere di ascoltarci. Un atteggiamento e uno stile educativo coerente con i loro bisogni non necessita di molte parole. Perciò, una volta che siamo sicuri di avere la loro attenzione, chiediamo ai nostri figli ciò di cui abbiamo bisogno, solo una volta, e attendiamo: i loro tempi di risposta sono molto più lunghi dei nostri. Eventualmente, ripetiamo una seconda volta, spiegando i motivi della nostra richiesta “Carlotta, ho bisogno che tu ti vesta, perché dobbiamo andare a prendere la nonna, altrimenti arriverà tardi dal dottore”. Per Maria Montessori l’adulto educatore deve accompagnare il bambino nelle situazioni e nelle esperienze della vita in modo sempre discreto, senza fretta, evitando pressioni e forzature. E usare le parole con moderazione, solo quelle che servono realmente. La comunicazione che spiega troppo, ricca di particolari e ridondante risponde al bisogno dell’adulto e crea nervosismo e confusione nel bambino. Ciò che serve, secondo la Dottoressa, è una marcata capacità da parte del genitore nell’osservare, “nell’accorrere o nel ritirarsi, nel parlare o nel tacere, secondo i casi e i bisogni”. Ricorda: c’è modo e modo di dire le cose. Come scriveva Anna Maria Maccheroni, preziosa collaboratrice di Maria Montessori “dire continuamente: non fare questo, non fare quest’altro; proibire continuamente, rimproverare continuamente è far perdere ogni valore a quello che si dice. Quel «glielo dico sempre» delle mamme è uno sciupìo dai due lati: il bambino si abitua a lasciar dire e l’adulto si abitua a parlare a caso”.
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