Se ti ritrovi ancora a invitare tuo figlio a “filare in camera” quando per l’ennesima volta non ne vuole sapere di ascoltarti, per poi renderti conto che questo metodo (che tu hai sempre ritenuto efficace!), invece di insegnare al tuo bambino a ritrovare le calma e a riflettere sul suo comportamento sbagliato lo rende più agitato o, ancora peggio, gli consente di riuscire nel suo intento di non farsi “beccare” la volta dopo, allora devo darti una spiacevole notizia: non stai adottando un approccio efficace.
Non solo.
Ci si mette anche il Consiglio d’Europa che sembra stia facendo marcia indietro sul cosiddetto “time out” (in precedenza considerato dalla stessa organizzazione internazionale come strumento di “genitorialità non violenta”), in quanto ritenuto controproducente e diseducativo.
Il rischio è che al pari delle sculacciate, degli schiaffi e delle urla anche questo metodo si caratterizzi come una violenza socialmente accettata e usata contro i bambini, mascherata da buon strumento educativo.
Certo, detta così è proprio una doccia fredda… ma se mi segui da un po’ sai che non è nel mio stile darti informazioni senza offrirti spunti di riflessione.
Infatti, ho pensato di scrivere questo articolo per darti la via d’uscita all’impasse in cui ti trovi.
Anzi, la soluzione te la darà Maria Montessori, colei che ha rivoluzionato il mondo dell’educazione e a cui sono debitrice per aver fatto nascere dentro di me una nuova coscienza educativa, come mamma e come pedagogista.
L’approccio montessoriano è ricco di insegnamenti in grado di trasformarti in un genitore migliore.
E può aiutarti e darti indicazioni molto pratiche e precise anche in tema di time out!
Devi sapere che anche Maria Montessori riteneva utile isolare i bambini che disturbavano gli altri e non prestavano ascolto alle “esortazioni” degli adulti.
Ma il modo in cui utilizzava questa “strategia” si discosta molto dalla maniera in cui tanti genitori, oggi, seppur amorevoli, si servono di questa pratica.
Ecco come la stessa Montessori, durante le sue visite nelle Case dei Bambini, descrive questo approccio, che “è riuscito sempre a calmare il fanciullo”.
Al bambino “ribelle” veniva riservato “un tavolino in un angolo della sala” e lo si faceva sedere in una poltroncina di fronte ai suoi compagni che fungevano da esempio per il buon comportamento, in modo ancora più efficace “come non potevano esserlo le parole della maestra”.
Poi continua: “Il fanciullo isolato era per lo più oggetto di cure speciali, come se fosse un bisognoso o un malato: io stessa quando entravo, andavo prima di tutti dritta a lui, facendogli carezze (…) dopo mi rivolgevo agli altri interessandomi al loro lavoro (…). Non so cosa avvenisse nella loro anima: ma certo fu sempre definitiva e profonda la «conversione» degli isolati. Essi diventavano poi orgogliosi di avere un contegno dignitoso, e per lo più serbavano un tenero affetto per la maestra e per me”.
Maria Montessori, più di 100 anni fa, applica un’idea che oggi viene confermata dalle moderne neuroscienze: la “cura”, il rimedio, la soluzione alle difficoltà comportamentali dei bambini è nella relazione.
Ecco cosa scrivono D. J. Siegel e T. P. Bryson, noti per il loro lavoro nel campo della neurobiologia interpersonale e tra i miei riferimenti neuroscientifici più significativi nell’ambito dell’età evolutiva riguardo al time out: “ Questa misura può essere utile, se impiegata in modo adeguato, con un senso di affettuosa sintonia nei confronti dei bisogni del bambino; per esempio, possiamo sederci con lui e parlargli o consolarlo, non considerando quindi il «time out» come un «tempo fuori» dalla relazione (letteralmente «time out» significa «tempo fuori»), ma come un «time in», ossia un tempo per stare «dentro» se stessi, per guardarsi dentro, ma comunque insieme a noi, con il nostro aiuto”.
Ci sono almeno 3 indicazioni che si possono ricavare da quanto ci riporta Maria Montessori ne La scoperta del bambino.
1. TIME OUT – Un bambino lasciato da solo difficilmente imparerà l’autocontrollo
Per Montessori non è l’essere lasciato da solo ciò di cui ha bisogno il bambino quando fatica a regolare le proprie emozioni. Si tratterebbe di una condizione che verrebbe vissuta come un rifiuto, un abbandono e che, diversamente da come immaginiamo, farebbe aumentare ancora di più la sua collera e la mancanza di autocontrollo.
Essere costretto a rimanere in un angolo a “riflettere” per un bambino significa solamente rimuginare su quanto mamma e papà sono stati ingiusti nei suoi confronti.
È proprio nei momenti di crisi, quando si comportano male che i nostri figli hanno più bisogno della nostra presenza, del nostro aiuto per calmarsi, delle nostre “cure speciali”.
Certo, con amore e fermezza, e non sull’onda della rabbia, dobbiamo allontanarli tempestivamente dalle situazioni critiche e nocive per loro stessi e per gli altri. Ma poi, per fare in modo che riacquistino la calma e imparino modalità idonee per affrontare le loro frustrazioni, è necessario fermarci con loro, ascoltare i loro sentimenti e le loro parole, cercare di capire le loro ragioni facendo presente, brevemente, le nostre.
Dobbiamo sforzarci di leggere il loro comportamento sbagliato da una prospettiva diversa, non come una sfida o una provocazione, ma come un modo “irrazionale” con cui ci informano che sono emotivamente stremati. Non è questione di cattiva volontà, ci ricorda Montessori, ma di immaturità, di un livello della coscienza, del controllo di sé e dei propri impulsi non ancora ottimale. “Se il bimbo non è ancora padrone delle sue azioni, se non riesce a ubbidire alla sua propria volontà, tanto meno riuscirà ad ubbidire ad un’altra persona. Ecco perché può accadere che riesca una volta ad ubbidire e non un’altra. E non solo nell’infanzia questo può accadere: quante volte un principiante che suona un qualunque strumento, eseguirà bene un pezzo la prima volta e se il giorno dopo gli chiederanno di suonarlo ancora non saprà farlo altrettanto bene; non gli manca la volontà, bensì l’abilità consumata e sicura”. Maria Montessori
Ricorda: occorre molto tempo perché il cervello dei nostri figli si sviluppi sufficientemente da consentirgli di esprimersi in modo ragionevole.
2. TIME OUT – La causa del comportamento sbagliato è da ricercare nel sovraccarico emotivo
Devi sapere che spesso il “cattivo” comportamento è causato da un sovraccarico emotivo che induce un bambino a esprimere i suoi bisogni o le sue emozioni in modo esagerato, impetuoso. C’entrano spesso la fame, la stanchezza, la noia.
Perciò, quando per esempio tuo figlio è nel pieno di una crisi di rabbia e si butta a terra piangendo o ti urla parole pesanti – “Sei una pessima mamma!” -, è come se ti stesse dicendo che è esausto, che ha oltrepassato la soglia che lo porta fuori dalla sua “gamma ottimale” ed è per questo che si lascia andare a quella reazione “ingiustificata”.
Non è più in grado di regolare le sue emozioni, ne è sopraffatto. Ha bisogno, perciò, che gliele rendi più sopportabili: “Ti capisco, non è facile”, “Anch’io al tuo posto mi sentirei così arrabbiata”.
Resisti all’impulso di lasciarti prendere dalla rabbia o di fare la cosa più facile e veloce.
È solo entrando in sintonia e cercando di metterti in ascolto del suo stato d’animo che metti tuo figlio nelle condizioni di imparare a “comportarsi bene”. Certo, è fondamentale insegnargli il comportamento corretto, ma prima devi fargli “sfiatare” il carico emotivo in eccesso. Ecco perché è del tutto inutile spiegare a un bambino come esprimere la rabbia senza dover prendere a calci qualcuno o insistere con un preadolescente per fargli svolgere i compiti, se sono sopraffatti dalla loro emotività. La loro mente non sarà pronta ad aprirsi alla risoluzione dei problemi nel primo caso e all’apprendimento nel secondo. Se invece, quando sono “persi” nelle loro tempeste emotive, dimostriamo ai nostri figli che comprendiamo come si sentono, li aiutiamo a ritrovare l’autocontrollo, ad essere più flessibili e maggiormente capaci di adattarsi.
“Prima di essere in grado di darci autonomamente conforto o di calmarci, noi abbiamo bisogno dell’esperienza di un’altra persona che ci segua, dandoci un feedback sui nostri pensieri e sulle nostre emozioni. Questo processo segna l’inizio della nostra alfabetizzazione sensoriale ed emotiva. In seguito, saremo nella condizione di costruire la consapevolezza di noi stessi e degli altri, e di diventare capaci di autoregolarci”. P. Fonagy
3. TIME OUT – È all’interno della relazione che il bambino sviluppa abilità autoriflessive
La capacità del bambino di riflettere su se stesso, su cosa prova, di capire se si sta comportando in modo appropriato o meno, di pianificare i suoi comportamenti, di prevedere e riconoscere le conseguenze delle sue azioni…ecco, tutto questo e altro ancora non nasce nel completo isolamento, ma all’interno della relazione con un adulto capace di connettersi con il suo stato d’animo e aiutarlo a comprendere cosa succede.
È questa la lezione di Maria Montessori, costantemente attenta alla cura della vita interiore del bambino.
La sua è una pedagogia che valorizza il tempo dell’interiorità, quel tempo necessario per fermare il comportamento scorretto e in grado di stimolare una riflessione interiore che favorisca lo sviluppo delle cosiddette funzioni esecutive che risiedono nella corteccia pre-frontale e che rendono i bambini capaci di controllarsi senza dare in escandescenze, di prevedere le conseguenze dei propri comportamenti, di tollerare l’attesa e la frustrazione che segue a un mancato e immediato soddisfacimento dei propri desideri.
È un “tempo” in cui si offre al bambino la grande opportunità di familiarizzare con la propria anima, per imparare, un po’ alla volta, a guardare dentro di sé, a conoscersi a fondo e sviluppare un atteggiamento empatico che tenga conto dei sentimenti degli altri e che sappia prendere in considerazione un punto di vista diverso dal suo.
“Dovremmo insegnare ai bambini a «scrutarsi» dentro e poi a cercare di risolvere gli eventuali problemi basandosi sulla consapevolezza del proprio stato interiore”. D. J. Siegel e T. P. Bryson
Con grande anticipo rispetto alle recenti scoperte neuroscientifiche, Maria Montessori ci presenta un altro modo di affrontare le “turbolenze” dei nostri bambini che tiene conto del loro profondo bisogno di relazione e che invita l’adulto a collaborare affinchè possano riacquistare la calma.
Come?
Quando tuo figlio sta male, dopo averlo allontanato dalla situazione critica, portalo in un luogo dove, con te vicino, possa esprimere in tutta sicurezza le emozioni intense e i pensieri che lo turbano e lo fanno agire con irruenza. È proprio in questo momento che ha più bisogno del tuo aiuto, delle tue “cure speciali”, per ritrovare la calma.
Sai,
non dovremmo mai comunicare ai nostri bambini che desideriamo stare con loro solo quando sono di buon umore e ubbidienti.
Tu accetteresti di stare in una relazione di questo tipo?
No, non sto dicendo che devi concedergli tutto quello che vuole.
Confortare non vuol dire viziare.
Puoi dire no ai suoi comportamenti scorretti, ma dire si alle sue emozioni, al suo stato d’animo. E allora, non lasci che morda la sorellina o che ti prenda a calci perché non gli hai permesso di mangiare il biscotto prima di sedersi a tavola per cena.
Per Maria Montessori educare significa occuparsi della crescita spirituale del bambino, cioè, aiutarlo a svilupparsi affinchè diventi una persona consapevole e responsabile.
Cara mamma, caro papà, ciò a cui devi dare importanza è la relazione,
anche quando tuo figlio non si comporta bene. Si può essere emotivamente presenti per i nostri bambini e allo stesso tempo rimanere coerenti e fermi nella regola e nel limite posto: “So che ti piacerebbe attraversare da solo la strada, ma non posso permettertelo adesso. Tra un po’ di tempo sarai più grande e pronto per poterlo fare. Capisco comunque perché piangi e urli così forte. Rimarrò vicino a te fino a quando ti calmerai”.
Certo, restare calmi durante le tempeste emotive del tuo bambino è sicuramente uno degli aspetti più difficili del tuo essere genitore. Non perdere le staffe in quei frangenti è una vera sfida!
Ma sono quelli i momenti in cui ti serve di più ricordare che l’adulto della relazione sei tu.
Sappi che quanto più riuscirai ad essere di esempio per tuo figlio nel modo in cui esprimi i tuoi stati d’animo senza perdere il controllo, tanto più lui imparerà a regolare le sue emozioni.
Inoltre, nel fare ripetuta esperienza di conforto il tuo bambino interiorizzerà la capacità di calmarsi e di confortarsi da solo in futuro, quando ne avrà bisogno e tu non ci sarai.
“La coscienza di sé si forma man mano che si susseguono le esperienze, e nella misura in cui le emozioni sono capite, approvate ed espresse”. I. Filliozat
Ho scritto questo articolo non per fornirti una ricetta che curi i comportamenti scorretti del tuo bambino, quanto piuttosto per farti capire qual è l’atteggiamento giusto per far si che, nel bel mezzo di una situazione conflittuale, tuo figlio senta che sei in connessione con il suo stato d’animo e che, anche se ti ha fatto arrabbiare, lo ami e ti prenderai cura di lui.
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